Cosa ne penso della Legge di Stabilità

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Legge di Stabilità intervista di Raffaele Liguori su Radio Popolare del 20/10/2015

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Il ministro Padoan dice che questa manovra è espansiva. Sulla base di quello che sappiamo (come è noto il testo non è stato ancora trasmesso alle Camere e dunque bisognerà avere il documento ufficiale per fare valutazioni puntuali) la legge di stabilità ha sicuramente un carattere espansivo. Dico questo perché in sostanza tutta l’operazione fatta per evitare che scattino le cosiddette clausole di salvaguardia, cioè l’aumento dell’Iva e delle accise, viene realizzata non attraverso tagli di spesa, come pure si sarebbe potuto fare, ma attraverso un aumento della flessibilità concessa dall’Unione europea, e cioè innalzando il debito tendenziale. Quindi siamo di fronte a una manovra complessiva, a oggi, di circa 27 miliardi di euro, ma di cui 17 realizzati con questa modalità per evitare l’aumento delle accise e l’aumento dell’Iva. La vera “manovra” si riduce a 10 miliardi di euro. E questi 10 miliardi sono sostanzialmente impegnati, al di là che si reputino giuste le singole misure, per sostenere i consumi, abbassare le tasse o fare qualche intervento verso qualche fascia sociale, qualche articolazione territoriale. Da questo punto di vista condivido che si tratti di una manovra di segno espansivo.

Naturalmente questa caratteristica sul fronte del rigorismo apre un interrogativo, perché vuol dire trasferire sull’anno prossimo e sull’anno dopo ancora una parte della copertura delle cosiddette clausole di salvaguardia. Il che significa che nel 2016 e nel 2017 una parte consistente della manovra di finanza pubblica dovrà essere utilizzata per far fronte a questi impegni ed evitare questi aumenti di Iva e di accise.

Quanto al merito, la vera manovra è 10 miliardi. Di questi circa la metà va a coprire l’operazione sull’Imu, la Tasi e anche a togliere l’Imu agricola e l’Imu sui capannoni industriali.
Per quanto riguarda l’Imu agricola e l’Imu sui capannoni industriali si tratta di due misure di assoluto buon senso, da condividere, anche perché ci sono capannoni industriali di imprese ferme sui quali si paga l’Imu, c’è la doppia tassazione…insomma queste misure vanno a sostegno della piccola impresa artigiana, sono giuste e vale la pena di realizzarle. Quanto all’Imu agricola fu un errore averla introdotta l’anno scorso. Più problematica è l’operazione  prevista per l’Imu e la Tasi sulla prima casa. Per due motivi. Il primo: un’imposta sugli immobili, anche sulla prima casa, c’è in tutta Europa. Diventeremmo una totale anomalia nel panorama europeo. La seconda ragione riguarda l’abolizione totale. La soluzione sulla quale in passato anche il Pd si era mosso, cioè quella di garantire che fino ad un certo livello di Imu-Tasi le fasce popolari non paghino nulla, consentirebbe di avere un’esenzione molto alta, con una parte ampia della popolazione completamente esentata e uno sconto per tutti gli altri, e però di ottenere nello stesso tempo anche un gettito derivante dalle case medio alte e di lusso, in modo che chi ha qualcosa lo paga e così facendo aiuta a sostenere le politiche a favore di coloro che hanno problemi.

Io ho sempre pensato questo e ne resto persuaso. Resto inoltre dell’opinione, peraltro confortata dai dati, che la vera anomalia italiana non sia la tassazione della prima casa: non è la tassazione sugli immobili che pure riconosco essere cresciuta molto negli ultimi anni, come le famiglie italiane sanno benissimo, ma l’Irpef. Il paragone con gli altri Paesi dice che un italiano paga quindici punti percentuali in più di un inglese, di un francese, di un tedesco.

Dunque credo che la via maestra per ridurre le tasse debba essere, deve essere, come pure si era iniziato a fare con gli 80 euro, quella di una diversa modulazione della curva e degli scaglioni dell’Irpef, imposta che oggi, come è noto a tutti, è tratta per oltre l’ottanta per cento dai redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.
A parte il tema fiscale, ciò che prima di tutto manca in questa manovra e che se affrontato risponde al problema di come dare una svolta e non soltanto di amministrare piccoli spazi di una manovra espansiva, è un intervento vero per il Mezzogiorno. Penso che la vera e più forte critica da fare a questa manovra riguardi il Mezzogiorno. In questi anni di crisi la distanza tra il Sud ed il resto del Paese è cresciuta. Lo dicono tutti i dati, non solo quelli del Pil, della produttività, del lavoro creato, della disoccupazione, delle aree di povertà, ma lo dice soprattutto il fatto che è ripartita dal Sud una marea di giovani che trova, o prova a trovare, una possibilità di lavoro nel resto del Paese o all’estero. Il Sud si sta lentamente desertificando. Che cosa dunque bisognerebbe e bisogna fare? Non bastano, come pure il governo sta cercando di fare, 6-7 miliardi di investimenti soprattutto in campo infrastrutturale, che naturalmente è una scelta che va fatta; non bastano i milioni per Bagnoli e la Terra dei fuochi, che naturalmente vanno bene; si tratta invece di adottare strumenti che per almeno per il periodo della programmazione dei fondi europei di questa stagione, quindi per 6 o 7 anni, garantiscano la certezza agli imprenditori, a chi vuol fare impresa nel Mezzogiorno, di avere un credito di imposta automatico molto forte per gli investimenti in ricerca e innovazione e insieme sgravi contributivi differenziati da quelli relativi al resto del Paese e per un periodo di 6-7 anni per l’assunzione dei lavoratori a tempo indeterminato. Se l’Italia potesse presentare una manovra che dice: per i prossimi sei o sette anni chi viene a fare impresa nel Sud  ha questi sgravi contributivi molto forti per l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato e incentivi fortissimi se investe in ricerca e innovazione e accompagniamo questa manovra con lo sblocco dei 6-7 miliardi della clausola per gli investimenti e con le altre manovra allora avremmo una risposta diversa, più positiva. Dico questo, perché non c’è dubbio che il Paese cresce poco perché il Mezzogiorno cresce di meno della media, quando il Paese crescerà di più è perché il Mezzogiorno ha cominciato a crescere in linea con la media del Paese. E quindi si gioca nel Sud la possibilità di riavviare davvero la crescita in Italia.